Quesito del 05/12/2021

Quale socia di cooperativa edilizia, a seguito di contenzioso, nel gennaio 2018 ho manifestato tramite il mio legale l’assenso alla sottoscrizione di un atto transattivo per addivenire alla sottoscrizione dell’atto notarile di assegnazione. L’atto transattivo è stato approvato dall’assemblea dei soci nel gennaio 2018 e riproposto dall’amministratore all’approvazione dell’assemblea nel giugno 2018 in sede di approvazione del bilancio. L’assemblea approvò di nuovo ma ne subordinò la firma al pagamento delle competenze al legale della società.
L’amministratore scrisse quindi una lettera ad ognuno dei 52 soci presenti chiedendo il pagamento della quota di spese legali, per una spesa notevole, circa 1.500 euro a socio, minacciando azioni legali contro chi non volesse pagare e subordinando la chiusura della controversia e quindi la liquidazione della società al pagamento da parte di tutti i soci.
Nel frattempo io provvedo ad individuare il notaio per la firma dell’atto di assegnazione e viene chiesto alla società di preparare l’APE e relazione tecnica. Per la redazione di tali documenti scorre tutto l’anno 2019. Chiedo più volte al mio legale di diffidare il legale della società affinché si provveda alla chiusura della controversia in quanto nel frattempo mi viene impedito di esercitare le mie prerogative di proprietaria dell’alloggio. A febbraio 2020 con il mio legale effettuo incontro definitivo con il notaio per approntare l’atto. Manca solo la data della stipula che da parte della società non arriva. Scoppia quindi il lockdown, arriviamo a giugno e dopo varie sollecitazioni il mio legale risponde che la società è in scadenza al 30 giugno e che firmare un atto con la società scaduta ci avrebbe esposto a nullità dello stesso. L’amministratore organizza quindi in tutta calma fino al marzo 2021 l’adozione di un atto notarile di apertura della liquidazione della società e di nomina di sé stesso come liquidatore unitamente ad un altro socio.
Nel frattempo a tutti i soci che chiedono informazioni circa il trascorrere del tempo ed il sostenimento di costi di funzionamento che gravano su tutti. l’amministratore risponde che sono io a non voler firmare l’atto. In contemporanea vengono congelate le udienze delle due cause pendenti.
Ho vinto in primo grado e la società ha proposto ricorso, mentre un’azione legale proposta da me è ferma per trattative. Sono però passati 4 anni con la convinzione di averle già concluse 4 anni fa queste trattative, invece il legale della società e la società usano ogni pretesto possibile per non firmare, togliendomi potere in giudizio dato il tempo trascorso e la possibilità di agire come proprietario dell’alloggio.
Questo infatti è servito da un impianto idrico condominiale che ormai serve solo il mio alloggio perché la proprietà mi ha impedito di staccarmi come gli altri e creare un impianto autonomo. L’amministratore però non ha mai compiuto lavaggi al grande deposito che prima serviva 12 alloggi ed a seguito di un’infezione contratta dal mio babbo a giugno scorso ho provveduto a far analizzare l’acqua del deposito e ne è uscita la presenza di batteri coliformi. E’ evidente che l’uso del deposito da parte di un solo utente non ha garantito il ricambio necessario da far restare l’acqua pulita. Ad ora quindi ho solo l’allaccio diretto all’acquedotto senza uso del deposito, i soci mi accusano di voler tenere in piedi la società quando invece ancora il legale usa pretesti di dover rivedere il testo della transazione per rimandarne la firma.
Il mio legale dice di pazientare. Tenuto conto che sono 4 anni che paziento, che l’altro legale ha subordinato la firma alla riscossione delle sue competenze, chiedo se vi è responsabilità di entrambi i legali che mi stanno truffando non chiudendo una controversia definita ormai 4 anni fa e che mi hanno impedito di agire come proprietario dell’alloggio, subendo il rischio di infezioni per l’impianto idrico. Sono soprattutto amareggiato con i due legali, compreso il mio che non vuole diffidare l’altro ad onorare gli impegni presi 4 anni fa.

Risposta al quesito:
Il rapporto con i propri legali è di natura fiduciaria, sicché l’insorgenza di “diffidenze” del mandante verso il professionista mandatario determina una patologia comportamentale.
In ogni caso la legge professionale vieta all’avvocato di esprimersi sull’attività di un collega, il quale mantenga il mandato fiduciario.
Il caso di specie va adeguatamente approfondito e appare probabile che in ragione della complessità l’attuale professionista abbia valide ragioni per temporeggiare, al fine di ottenere il miglior risultato.